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[Le Voci] Obscura mentis: un viaggio nel mondo di Edgar Allan Poe

Nascosti nel buio siamo noi stessi. Da lì emergono le nostre nude debolezze e fragilità senza quelle maschere che la società ci costringe ad indossare. La letteratura horror, in tal senso, diviene un mezzo attraverso il quale i lettori possono sondare le paure più radicate dell’umanità ed esplorare i misteri dell’ignoto. Le storie, avvincenti e disturbanti, sono capolavori in grado di ricreare un senso di tensione ed angoscia che coinvolge anche chi non ama particolarmente questo genere letterario.

Un maestro per eccellenza fu Edgar Allan Poe. Da qualunque prospettiva lo si osservi, è un autore lungimirante. Sembra quasi prevedere tutte le ossessioni dei nostri tempi, le ansie inconsce. Dotato di uno stile di scrittura eccezionale, attraverso i suoi racconti suscitò un’inquietudine che attanaglia e non molla più. I suoi racconti sono piccoli tesori che si leggono senza stancarsi. Poe, servendosi del grottesco, indaga i meandri più oscuri della mente umana. Qui sono le sensazioni, le emozioni, i timori a prendere il sopravvento trasformando ogni situazione in un’occasione per spingere il protagonista ad avviare un dialogo con se stesso. Nella maggior parte delle storie raccontate, immerse in un’atmosfera gotica, seguiamo le diverse fasi tipiche di un processo mentale che conquista immediatamente l’attenzione del lettore intrappolandolo in una ragnatela di pensieri da cui è difficile liberarsi.

Edgar Allan Poe esercita un potere ed un ascendente sulla mente di chi si approccia alle sue opere fuori dal comune: è capace, con destrezza, di suggestionare e di rivoluzionare la confort zone nella quale viviamo spingendoci a pronunciare parole che non vorremmo dire o a compiere gesti irreparabili (come accade, ad esempio, al protagonista de Il demone della perversità che confessa il suo delitto senza averne coscienza). O ancora, nei racconti I delitti della rue Morgue e la Lettera rubata, l’ispettore Dupin ci insegna come sia necessario adattare il pensiero alla personalità del pensante per ottenere la soluzione del mistero e quanto sia, spesso inutile, soffermarci troppo sulle nostre convinzioni rischiando così di trascurare tutti i dettagli e gli indizi utili che ci circondano.

Si può sbagliare quindi anche per eccesso di profondità: non sempre la verità giace in fondo a un pozzo. Anzi, io sono convinto che le conoscenze più importanti si trovino immancabilmente in superficie. Profonde sono le valli in cui ci aggiriamo per cercare la verità, ma non le cime dei monti su cui la troveremo.

Nell’Uomo della folla, l’immagine del protagonista che cammina dalla mattina alla sera senza una meta precisa e non fa altro, evoca la solitudine profonda dell’essere umano: una condanna alla quale cerca di sfuggire invano. Il suo continuo girovagare è simile, sotto certi aspetti, alla nostra quotidiana corsa frenetica verso qualcosa di effimero che rappresenta un modo per accantonare quel senso di vuoto interiore che ci attanaglia.

Alcuni racconti, poi, suggeriscono riflessioni più filosofiche: in Rivelazione mesmerica, un malato viene ipnotizzato e i suoi sensi annebbiati portandolo a sfruttare il proprio ingegno e ad elaborare un complesso sistema filosofico. Altri, come la Sfinge, esaltano il potere della suggestione ed altri fanno rabbrividire il lettore per le scene particolarmente macabre.

I ventiquattro racconti che compongono questa raccolta (nell’edizione Oscar Mondadori 2024) sondano alla perfezione le parti più nascoste dell’animo umano. Edgar Allan Poe, nel corso della sua breve esistenza, aveva visto ed ascoltato l’inizio e la fine di mondi diversi pregni di leggende e storie d’amore e di orrore dimostrando quanto la letteratura e l’arte siano formative, curative. Ogni sua “creatura” ci pone dinanzi ai nostri terrori più grandi: spettri che tentiamo di allontanare dai quali ci sentiamo perseguitati e ci spinge, invece, ad abbracciarli ed accettarli.

La scrittura di Edgar Allan Poe è un veleno che guarisce: fa sprofondare nel vizio che abborriamo ma che ci appartiene accettandolo. È un sofferto ritorno alle origini, attraverso un lento processo di disintegrazione di ogni forma di civilizzazione che denuda l’anima riportandola ad uno stato elementare e primordiale per sondarla. Un processo lento, amaro e splendido al tempo stesso: un grido inaudito e morente, l’aura fosforescente della decadenza che diviene rinnovamento attraverso il suo canto.

Pronti per questo viaggio? Io ve lo consiglio.

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