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M. OJEDA, Mandibula, 2018, Alessandro Polidoro Editore

Mandibula

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“Dicono che una madre sia una mandibola che imprigiona i suoi bimbi per proteggerli. Potrebbe morderli, potrebbe mangiarseli. Vorrebbe farlo. Ma anche una bimba può far male alla bocca di una madre, però mica lo dicono. Una bimba può mordere da dentro, scivolare lungo la gola fino allo stomaco: disnascere.”

Monica Ojeda classe 1988, Ecuador, ci regala una storia a metà tra incubo e suggestione. Considerata trai migliori scrittori dell’America Latina, con Mandibula il lettore compie un viaggio perturbante passando tra denti aguzzi per poi precipitare in una gola dalle pareti bianche. Bianco è il colore di questo romanzo.

Il bianco che è non-colore sempre sul punto di lordarsi. È il bianco del latte della madre e della sua mandibola dove tiene al sicuro i cuccioli. Bianco come le pareti di una stanza senza finestre. Bianca è la purezza dell’infanzia pronta a sporcarsi, a marcire con l’arrivo dell’adolescenza.

Un’adolescente appassionata di storie horror, Fernanda, si sveglia legata in una capanna nel bezzo di una foresta. A rapirla è stata la sua insegnante di letteratura, ma perché? Non dobbiamo far altro che prendere un bel respiro e scoprirlo.

Il romanzo inizia quasi in punta di piedi, lento ma il precipitare nel perturbante è inesorabile. È una storia potente in cui la ribellione adolescenziale assume il carattere del rifiuto di lasciarsi imbrigliare nei ruoli femminili. I cambiamenti dei corpi delle protagoniste, fanno sorgere in loro il desiderio di assurgere a predatori e sottomettere gli individui. E come si fa? Con un culto ad esempio. Annelise, milgior amica/complice/sorella di Fernanda, crea una divinità soprannominata Dio Bianco capace di pervertire i valori del vivere civile, ma non solo: è un Dio del caos che può far disnascere un individuo, inghiottirlo attraverso una mandibola piena di denti.   

È possibile ambientare una storia gotica in Ecuador? In un territorio caldo e paludoso? Sì. Echi di Marquez, Cortazar e Bolaño, si mescolano a tentacoli lovecraftiani per creare un mondo straordinario e inquietante. Lo stile della Ojeda è assurdo! Carnale e raffinato, gioca con i sensi facendo vivere al lettore la storia anche attraverso il corpo. Plasma delle ambientazioni che connotano il romanzo a metà tra il panorama del gotico contemporaneo e quello del weird.

In questa storia c’è di tutto. Il turbine della violenza adolescenziale, i miti del folklore horror digitale e il femminile come arma di trasformazione a caccia di potere. Il tema è incarnato da una metafora pungente e terribile: “Ogni madre deve sfuggire ai denti di sua figlia. Deve insegnarle a non scivolare lungo la gola, a non mordere e a sua volta imparare che non deve inghiottire la poppante adagiata dentro la sua mandibola.” Annullare la propria madre per esistere oltre lei.

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